Biografia

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Carlo Fusca nasce a Bari nel 1952. La sua formazione giovanile avviene presso il collegio dei Padri Domenicani della stessa città. Di questi anni è un episodio che segnerà l’avvio di una precoce attività artistica del maestro che darà vita alla sua idea di arte: l’incontro, a soli dodici anni, con la Flaggellazione di Caravaggio presso il museo di Capodimonte.

Nel 1969 si diploma all’Istituto Statale d’Arte di Bari, ma l’incontro occasionale con Luca Di Noia, restauratore dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, lo riconduce ad approfondire la sua formazione per circa un decennio nel lavoro di restauro e conservazione delle opere dei grandi maestri della Scuola Veneta e Napoletana del ‘600, del ’700 e della scuola di Giovanni Bellini (Paolo Veronese, Luca Giordano, Francesco Solimena, Corrado Giaquinto, Cesare Francanzano, Francesco De Mura), costituiranno un banco di prova per Fusca, nel senso dello studio, della composizione delle forme all’interno dei linguaggi classici, e della conoscenza pratica delle tecniche e dei materiali. La pazienza, la meticolosità, la tenacia e soprattutto il rispetto delle opere e dei loro esecutori, saranno caratteristiche peculiari delle sue esperienze e lo indirizzeranno a padroneggiare la sua indiscutibile tecnica e la sua evidente forza caratteriale.

Nel 1974 tiene la sua prima personale alla David Gallery di Bari.

Nel 1975 realizza il grande olio su tavola I cavalieri dell’Apocalisse, composizione di figure dell’accento futurista che contiene “l’intenzione iconografica dell’avvicinamento alla classicità”.

Nel 1979 comincia ad approfondire alcuni aspetti della pittura rievocando per certi aspetti gli esiti della “Pittura Colta”. Nello stesso anno il testo di Gaetano Mongelli “Otto annotazioni critiche su Carlo Fusca” – nel catalogo della mostra personale alla Galleria Nuova Vernice di Bari – descrive in maniera significativa i rapporti di Fusca con la classicità intuendo gli esiti straordinariamente innovativi della “classicità ironica” del maestro.

La lettura di Mongelli definisce quella che in apparenza sembrerebbe una ‘facile citazione’ come “l’eloquenza del passato che interroga il presente”. Più tardi questa costante sotterranea, che emergerà in sembianze sempre diverse, verrà definita come un modo personale di vivere ‘il disagio della modernità’ all’interno della sua poetica.

Nei primi anni ‘80 la sua pittura assume forti connotazioni concettuali, evidenti nella grande mostra Dall’Archetipo al Continuo, con Elia Canestrari, nell’ex monastero di S. Scolastica con il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali (1983). Le opere sono “immagini di frammenti” (Crispolti) a volte unite con imbastitura su tela da rifodero, che costituiscono un chiaro precedente degli attuali Codici Minati e delle altre opere. Lo spirito delle ‘immagini di frammenti’ non è la citazione, ma individua nel binomio composizione/frammentazione la condizione analitica dell’arte contemporanea. L’opera più importante di quegli anni è l’Ultima Cena, un grande pannello componibile di 4 m, in cui i frammenti di pittura sembrano danzare sulla tela trasparente, ricondotti ad una unità formale dalle imbastiture che tentano di ricostruire una realtà perduta. L’approccio al sacro è quindi vissuto come realtà metafisica, non come rito religioso.

Nel 1985 Fusca si trasferisce a Roma e presenta, al Centro Luigi di Sarro, Carlo Fusca, un’immagine dannata a cura di Enrico Crispolti. Fondamentale per comprendere questo periodo è il saggio critico introduttivo del catalogo della mostra, in cui Crispolti definisce “lo scatto d’un rifiuto” la motivazione che consente a Fusca di non lasciarsi trascinare in una soluzione meramente citazionista.

Negli stessi anni Fusca fonda la rivista di arte contemporanea ”Altrimmagine” punto di riferimento degli artisti dell’Italia meridionale che accoglie, tra gli altri, i prestigiosi contributi di Enrico Crispolti, Luigi Paolo Finizio, Carlo Lizzani, Bruno Zevi, Carlo Belli, Elena Cavallo, Lucrezia De Domizio, Santa Fizzarotti. Partecipa inoltre con notevoli riconoscimenti a rassegne di rilievo internazionale (Londra, Parigi, New York, Budapest), promosse da enti pubblici e privati e dall’Istituto del Commercio Estero.

Nel 1987 con la mostra Rizoma. Radici nel contemporaneo a cura di Luigi Paolo Finizio (Napoli, Casina Pompeiana, catalogo Mazzotta) conclude il ciclo di opere iniziato nel 1983, con un approfondimento dell’aspetto notturno, interiore e tragico.

Nel 1989 l’espressionismo frammentario dei fondali notturni si apre nuovamente ad un’intensa riflessione sulla pittura caravaggesca che costituirà una svolta ulteriore della sua pittura nel senso più figurativo.

Nella rassegna La Nuova Maniera Italiana a cura di Giuseppe Gatt e Rossana Bossaglia (Bari, Ex Monastero di  S. Scolastica) sarà ancora una volta il testo critico di Gaetano Mongelli De Apula Pittura e Nuova Maniera a scandagliarne i significati.

Il passaggio alla Nuova Maniera si concretizza nel 1990 con la grande mostra Difesa ad Arte (Roma, Museo del Vittoriano, catalogo Laterza, Roma-Bari), in cui la sua opera Nella Notte dei Templari viene acquisita nella collezione dello Stato Maggiore.

Nel 1991 Fusca si trasferisce a Milano, tiene una mostra a Rovereto, L’antico come metafora, presso la galleria Pancheri, con testo di Rossana Bossaglia e sottolinea con la produzione di nuove opere -in prevalenza paesaggi e nature morte- la sua autonomia rispetto al gruppo dei neomanieristi.

Il percorso individuato da Rossana Bossaglia (nel catalogo edito da Camille Fournet – Parigi) indica l’attenzione dell’artista verso le nature morte, la composizione di oggetti, quale riflessione e “proiezione ideale di ogni tematica”. In questi anni l’attività espositiva si rallenta a causa dei lunghi tempi di realizzazione delle opere di grande formato. Nel 1993 Fusca tiene una grande mostra presso Lorusso Arte ad Andria (BT) e ritorna poi nel suo studio romano.

Nel 1994 si trasferisce a Bari dove tiene una grande mostra a Villa Romanazzi Carducci, Il Mito, Il Mare, Gli Eroi con testo in catalogo di Santa Fizzarotti Selvaggi (edizioni G. Laterza, Bari).

Nel 1995 partecipa alla rassegna internazionale La Nuova Europa (Venezia, Antichi Granai della Giudecca a cura di Carmelo Strano), nel centenario della Biennale. La diversità di atteggiamento critico e l’autonomia di pensiero nell’ambito della Nuova Maniera sono nettamente tracciate nella densità delle immagini, nella tonalità ridotta di colori, nel senso d’angoscia con cui egli vive la sintesi della pittura, perché Fusca è innanzitutto l’artista contemporaneo che usa il senso del classico come tentativo di ricomporre l’armonia distrutta, scegliendo appunto l’antico per ripartire verso le idee e gli spazi del futuro.

Per Fusca l’antico assume aspetti e significati diversi dalla mimesi: la coerenza del suo percorso si ricollega ad una “Cultura delle differenze” che si oppone all’omologazione dei linguaggi nell’arte contemporanea. L’ossimoro evidente fra forma classica e risultato “labirintico” delle grandi Battaglie costituisce l’attualità del messaggio di Fusca: il percorso della pittura (intesa nel senso tradizionale del termine) sembra infatti “senza via di uscita” ritornando sempre all’elaborazione di linguaggi già indagati, nonostante cambino i punti di riferimento dell’espressione pittorica al variare degli scenari culturali.

Gli intendimenti iniziali e gli approfondimenti di questa fase artistica si innestano nel lavoro precedente e lo rinnovano come passaggi intensi, non come variazioni repentine ma come sedimentazione di immagini e di forme. Ne è una prova in questi anni la serie di Paesaggi fantastici eseguiti su tela ma con materiali diversificati, che discendono dall’aspetto concettuale frammentativo di 10 anni prima e preludono all’ulteriore evoluzione del lavoro, riaffiorando 10 anni dopo (2007) nella frammentazione della pittura e nella ri-composizione di frammenti di carte e tele.

Nel 1996 fa parte della Commissione Cultura della regione Puglia; di questi anni sono alcuni cicli pittorici.

Nel 1997 progetta Art&Maggio per conto dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Bari e partecipa, nell’ambito della rassegna, alla sezione Classico e Anticlassico curata da Marilena Bonomo (1998); ne diviene coordinatore nella successiva edizione (1999), curata fra gli altri da Luciana Cataldo e Toti Carpentieri.

Sempre nel 1999 partecipa all’esposizione Paesaggi Italiani, a cura di Valerio Dehò (Milano, galleria il Milione), intensificando il lavoro di studio sul paesaggio, nuovamente figurativo ed interpretato con il linguaggio classico; il tema sovente diviene pretesto per “indagare i segreti della natura e delle tenebre interiori”, palesando l’inquietudine insita nella ricerca.

Nel gennaio del 2000 la mostra dei Paesaggi Italiani è presentata in Germania a Colonia nell’Istituto Italiano di Cultura. Nello stesso anno viene edita una grande monografia che copre una serie di mostre, in cui i testi di Claudio Strinati e Valerio Dehò delineano e riassumono l’essenza della fase della Nuova Maniera, iniziata 10 anni prima, sintetizzando il passaggio di Fusca ad una nuova linea analitica.

Nel dicembre 2001 tiene la mostra Paesaggi/Landscapes presso la galleria Bonomo a cura di Marilena Bonomo (testi in catalogo di M.Bonomo e R.Bossaglia). In coincidenza della pubblicazione della monografia, nel dicembre del 2001 trasferisce il suo studio a Milano, spostandosi – come aveva fatto nella fase romana – come segno esterno della sua svolta concettuale, pur mantenendo i rapporti con il Sud dell’Italia e con i luoghi del Mediterraneo che diventeranno i punti di riferimento della fase seguente.

Nel 2007 la capacità di Fusca di rinnovarsi e mettersi in discussione si evidenzia nuovamente con la mostra di Pesaro, Carlo Fusca – I labirinti della pittura (Comune di Pesaro, Palazzo Ducale, coordinamento W. Stafoggia, con il patrocinio dell’Accademia di Belle Arti di Macerata) in cui la grande opera L’assedio di Corinto segna il ritorno alla frammentazione delle immagini. Rispetto alle precedenti esperienze concettuali si assiste oggi, al superamento della riflessione in esse contenuta: i Codici Minati (2008) sono infatti la ricomposizione mimata dei frammenti della memoria, attraverso l’assemblaggio di forme, disegni, studi, immagini, quale prodotto della “ripetizione involontaria” di una memoria storica forzatamente rimossa, che ritorna sotto molteplici   aspetti nell’arte contemporanea “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Il codice minato rappresenta il tentativo di una comprensione più approfondita del presente e, nello stesso tempo, il dramma ironico dell’arte attuale. Di essa scandaglia il disagio, l’incapacità di trasmettere regole e canoni, di costruire nuove forme del sapere evidenziandone la precarietà.

“L’espressionismo distruttivo” dei codici con lo stile mimetico e articolato esibisce lacerazioni, bruciature, ricomposizioni e imbastiture come unico linguaggio capace di trasmettere parole inascoltate.